Il teatro è come un gioco

Irreale, talvolta assurdo sembra quello che accade sul palcoscenico scuro. Accade, e noi per un breve momento diventiamo parte di questo organismo che respira, che vive, che piange e che ride. Siamo un tutt’uno, attori e pubblico, che, grazie alle parole o ai gesti, insieme diamo un senso al nostro stare al mondo.

Noi, seduti di fronte a un teatro che brulica di vita, che rileggiamo nelle frasi dette da altri un pensiero, un’emozione, un’esperienza. Sono note delicate, come quelle un piano che suona dentro di noi, toccando corde che non pensavamo di avere, nascoste nella nostra memoria, nei nostri desideri. Una volta usciti, l’impressione che il teatro ci ha suscitato dura ancora per alcune ore; come per forza d’inerzia le emozioni non si arrestano, i pensieri partono su un treno che va lontano. Anche quest’anno siamo pronti a partire lontano, come lo abbiamo fatto gli anni scorsi seguendo la danza di linee, bastoni e ballerini, ascoltando di amore e psiche, restando incantati davanti a mani che hanno preso vita, trasformandosi in personaggi differenti, in un uccello che ha preso il volo nella luce bianca del Teatro Foce. Tanti altri ancora, ricordi che si affollano tutti insieme nella memoria, sono pronti a fare capolino in questa 25. edizione del Festival Internazionale del Teatro. Siamo pronti a ricominciare, giovani della giuria, che sceglieranno il pezzo di teatro vincente tra i cinque in concorso, e giovani redattori del giornale Fittissimo, che con occhio critico scriveranno di quello che hanno visto e provato, dei loro pensieri.

Dopo le rappresentazioni gli attori si toglieranno la maschera e scenderanno dal palco, pronti a rispondere alle domande del pubblico.

Una kermesse del teatro, che sull’arco di una settimana, dal 30 settembre al 9 ottobre 2016, vedrà il suo palco affollarsi di emozioni, sempre diverse. Un ricordo particolarmente toccante, quello di un pezzo di teatro che ci ha raccontato del genocidio in Ruanda, attraverso le parole di due attori, l’uno hutu, l’altra tutsi. E ancora, il pomeriggio passato in radio a parlare di un tema delicato: quello di un bambino al quale non piace identificarsi in un sesso o nell’altro, persone che a Samoa vengono chiamate fa’afafine. Abbiamo voglia di ripartire, di lasciarci nuovamente avvolgere dal velo del teatro: un sipario pronto ad aprirsi con il FIT.

Caroline Bianchi

Pubblicato sull’Universo, giornale studentesco universitario indipendente, settembre 2016.

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